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Trentino
La
Basilica dei Santi Martiri anauniensi
Ritornando indietro
sulla strada principale ci indirizziamo verso le case di
Banco.
Sulla chiesetta gotica di Sant'Antonio Abate vi è rimasto
ancora qualche affresco. Da banco si può raggiungere il lago
attraverso una strada oramai mozza che una volta congiungeva Banco
a Revò - i resti di questa « strada
dei regai »
affiorano ancora a livelli di minima del lago. Oggi qui si
trova un piccolo ristoro e un noleggio barche. Continuando
sulla strada, vediamo il
paese di Casez situato un po' più in alto è ricco di
edifici di aspetto nobiliare. Un tempo , quì, famiglie come i de
Concini o i de Bertoldi o i de Manincor si costruirono le
loro
dimore signorili, una delle quali, situata al lato della
piazza principale, merita ancora oggi il nome di «castello».
Da notare una torre mozza, la merlatura e le belle bifore che
danno alla casa un aspetto singolare. Le altre case di
aspetto signorile con le mura merlate e gli affreschi sulle
facciate si vedono anche dall'altro lato della piazza
risalendo la lieve china. Una facciata verso nord porta due
belle bifore, una sopra l'altra e sul portone d'ingresso
immancabile, lo
stemma di un vescovo. Probabilmente era la dimora di uno dei
tanti vescovi ospiti del Concilio di Trento. Dalla strada, si nota anche
una villa isolata su un costone verso sud (una volta de
Manincor) rimaneggiata «a
castello» nel
secolo scorso. Dopo aver superato un altro, piccolo burrone
sbocchiamo finalmente sulla strada della Mendola, che in direzione sud
ci porta direttamente alla città di Sanzeno, proprio
il luogo in cui siamo diretti oggi pomeriggio. Questo luogo ha
conservato un ché di venerabile, da quando qui i primi
martiri della valle dovettero lasciare la loro giovane vita
e anche perché in memoria loro qui è stata eretta una delle
più belle chiese del Trentino. Il nome «Sanzeno»
infatti non ha nulla a che fare con il Santo di Verona, ma
non è altro che una derivazione del nome «San
Sisinio», il
maggiore dei tre martiri provenienti dalla Cappadocia (
Turchia ). Insieme con i suoi compagni
Martirio
e Alessandro
venne qui ucciso dai valligiani e arso su un rogo costruito
con le travi della primitiva chiesa cristiana da loro
costruita. Una
descrizione dettagliata di questi fatti la dobbiamo a San
Vigilio, allora vescovo di Trento, che nel 397 redasse una
lettera al vescovo di Milano
Simpliciano
( succeduto a
S.Ambrogio ) e
un'altra a quello di Bisanzio
Giovanni Grisostomo,
lettere che sono venute fino a noi. Essendo a quei tempi il
cristianesimo già religione ufficiale di stato, l'Imperatore
Onorio fece condannare a morte gli autori del delitto, ma
per intercessione di San Vigilio vennero graziati. Questo
suo gesto magnanimo avrebbe poi contribuito molto alla
cristianizzazione della Valle di Non.
La basilica dei martiri è posta su un
terrazzo all'estremo sud dell'abitato; il suo campanile
duecentesco, visibile da molti punti della valle, è per
fortuna sopravvissuto ai vari rimaneggiamenti della chiesa.
Già San Vigilio, dopo la strage del 397 aveva fatto erigere
al posto della chiesa in legno, allora distrutta, un nuovo
edificio. Ai primi del 13° secolo la chiesa fu notevolmente
ingrandita e qualche elemento scultorio, come l'architrave e
forse qualche colonna, furono poi impiegati per l'eremo di
San Romedio Furono poi i vescovi Giovanni Hinderbach e i
suoi successori Ulrico di Freundsberg e Cristoforo Madruzzo
a trasformare la basilica nelle sue odierne forme il portale del 1542
è una combinazione un po' ingannevole di elementi romanici,
gotici e rinascimentali; la sua parte più antica è
senz'altro l'architrave con figurazione di uva e di pampini,
derivante dalla primitiva chiesa. Anche l'interno spazioso
di aria solenne presenta questa combinazione fra gotico e
rinascimento, così tipica per molte chiese del Trentino. La
grande pala dell'altar maggiore è opera di Gian Battista
Lampi Gli intarsi della predella all'altar maggiore
rappresentano il martirio dei tre missionari e la
distruzione della prima chiesa. Dalla navata destra si sale
per qualche gradino nella capella laterale, resto
architettonico del '200. Nel sarcofago elevato al centro del
locale vi sono conservate le ossa dei tre martiri, trovate
nel 1472 sotto il pavimento dell'antica cripta; portate
allora a Milano, furono riportate in solenne funzione alla
sede primitiva nel 1927. Alle pareti laterali sono
conservati affreschi del 13° secolo, rappresentanti i dodici
apostoli e qualche quadro di mesi.
La
festa liturgica dei tre Martiri è celebrata il 29 maggio,
giorno storico del loro olocausto.
La
Strage degli innocenti si compì come detto in Anaunia
tra il 28 e il 29 maggio del 397. Le vittime furono tre
missionari stranieri, tre extracomunitari si direbbe
oggi. E cioè: Sisinio, forse di nazionalità greca, più
probabilmente nativo della Cappadocia ( Turchia );
Martirio, ex graduato dell'esercito e suo fratello
Alessandro. Questi ultimi due erano originari, si crede,
dell'Asia minore. La strage è narrata in due lettere
scritte in periodi successivi da San vigilio (388-400).
Questi informò direttamente il Patriarca di
Costantinopoli San Giovanni Gristomo (398-407), dalle
cui terre erano giunti i tre missionari, ed il vescovo
di Milano, San Simpliciano (397-400), successore di San
Ambrogio (morto un mese prima del tragico fatto di
sangue), il quale a sua volta, aveva inviato a Trento i
tre Leviti. Stando alle due lettere, il triplice
omicidio sarebbe avvenuto così: il 28 maggio, alla
vigilia di un sacrificio agli dei, per propiziare la
fertilità dei campi, alcuni uomini dell'antica comunità
di Metho o Mella ( forse l'attuale Sanzeno) si
presentarono in una famiglia da poco convertitasi al
Cristianesimo; senza tanti preamboli chiesero una capra
da sacrificare a Saturno anche perchè nella rotazione
dei sacrifici, toccava proprio a quella famiglia onorare
l'impegno. La capra non fu consegnata, in difesa di
questi nuovi cristiani nel frattempo erano giunti i tre
missionari, i quali, da due anni e con il denaro di
Sisinio avevano costruita nella zona una cappella ed un
ospizio. Il diniego non andò a genio ai pagani i quali
pretesero a quel punto la capra e pure la partecipazione
al sacrificio dei tre stranieri. Scoppiò un diverbio,
volarono parole grosse e Sisinio, colpito alla testa da
una mannaia, cadde a terra in un lago di sangue.
Martirio e Alessandro, per evitare che il loro amico
fosse straziato dagli anauniensi inferociti,
trascinarono il corpo di Sisinio all'interno
dell'ospizio e sprangarono la porta. La notte passò con
Sisinio agonizzante e i due amici a vegliarlo. Il giorno
seguente i pagani, che nel frattempo avevano ottenuto
rinforzi, sfondarono la porta del rifugio, buttarono giù
dal letto il moribondo e lo finirono. Martirio che aveva
cercato riparo nell'orto subì la stessa sorte.
Alessandro, a sua volta, catturato e legato ai cadaveri
dei suoi compagni, fu trascinato fin davanti la statua
del dio pagano e bruciato vivo sul rogo. Scrive San
Vigilio al vescovo di Milano, San Simpliciano: " In
verità il corpo dei primi due fu trascinato esanime, il
terzo invece, poichè era di vita più resistente, ebbe
una pena più crudele; infatti da vivo fu spettatore
delle proprie esequie. Con le stesse travi e tavole del
tetto della chiesa fu preparato un rogo. Questa la
fiamma che avvolse i tre martiri ". Raccontano gli "Atti
di San Vigilio" che il vescovo " preso da ispirazione,
subito si precipitò in Anaunia raccolse i resti
carbonizzati in bianche lenzuola e riportatili a Trento
li depose con amore nella basilica che egli stesso aveva
fatto costruire.
continua>>>
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